Carpe diem e altre considerazioni

Ciao Arthur.

Stavolta non ti scrivo nel giorno dell’anniversario della tua scomparsa, ti scrivo prima, in un giorno qualsiasi, perché voglio commemorare la vita e non la morte.

Mia figlia, lo sai, si è laureata in medicina, ha prestato servizio per vari mesi in una struttura per lungodegenti, e ora è in un ospedale per la specializzazione. Il contatto con il male, con la precarietà della nostra vita e soprattutto della nostra salute, le ha cambiato completamente il modo di approcciarsi alla sua quotidianità.

Alle nuove generazioni insegnano che tutto è reversibile, che se ti sposi puoi divorziare, se resti incinta puoi abortire, anche nei contratti c’è sempre una qualche clausola di reversibilità. Le nostre menti – le loro menti – sono plasmate dai videogiochi, dove se perdi vite puoi recuperarle, magari guardando una pubblicità.

Ma la vita non è questa, non è un videogioco, non è un film, con il destino non puoi contrattare, “chi vuol esser lieto sia, del doman non v’è certezza”.

Mi racconta mia figlia che la parte più dura è comunicare la situazione ai parenti, tipo “non rivedrai mai più tua madre, morirà e lontano da te”, ma anche a volte al paziente stesso, dire a un giovane di trent’anni che se la farà addosso per tutta la vita per esempio, e altre chicche simili.

Lei è sempre stata piuttosto incline al perdono, ma ora lo è ancora di più, ha chiarito ancora meglio le priorità della vita, e le è chiaro che non vale la pena perdere tempo prezioso a tenere il muso alle persone care, è tempo che nessuno ci ridarà indietro.

Ha vinto la pigrizia, dobbiamo camminare e correre finché abbiamo gambe e fiato per farlo, dobbiamo girare il mondo e guardare, leggere, ammirare, finché ci regge la vista per farlo: niente, niente è per sempre, e questo rende la vita incommensurabilmente preziosa, da celebrare, di cui inebriarsi (ma, come diceva Robin Williams, non strozzarsi col nocciolo, il mio non è certo un invito al bruciare le tappe, la vita, a trasgredire a oltranza, tutt’altro!).

Insomma, celebriamo la vita, anche se la mia è sempre fin troppo tranquilla, ma va bene così.

Sono comunque sempre più convinta che quella della nostra vita terrena sia solo una parentesi, e che facciamo parte di qualcosa di più grande e complesso.

Io continuo a crederlo e a sperarlo, e magari un giorno di rivedremo tutti, in un qualche luogo più sereno, felice, e più intelligente di questo.

Ti abbraccio.

Un’insalata in due!

Foglia_a

E già, la vita va avanti lo stesso, accada quel che accada.

La tecnologia ci stupisce ogni giorno, la gente si evolve, o almeno crede o cerca di farlo, crescono le esigenze e, per quanto sia possibile, si va alla ricerca di cose nuove. Il vecchio è già più vecchio il giorno prima, e la rincorsa all’ultimo smartphone, oggetto del desiderio, appare inarrestabile. Ma resta intatta la paura del domani, nei giovani soprattutto, ma anche per chi in teoria, vista l’età, non ha molto da perdere.

L’altra sera ero davanti alla TV e ho avuto la mala sorte di capitare sul “L’Isola dei famosi”. Visto che volevo farmi del male, l’ho guardato per un po’. Seduti attorno ad un tavolo imbandito per l’occasione con roba da mangiare – tanta, tanta roba da mangiare – i naufraghi di turno, uomini e donne dello spettacolo, dovevano in pochissimo tempo ingoiare più cibo possibile, e stremati com’erano dalle privazioni, davano di sé uno spettacolo a dir poco ridicolo e per quanto mi riguarda, stomachevole.

Ma la gente in studio guardandoli rideva. Ridevano probabilmente al pensiero di come ci si possa ridurre nel momento in cui si ha fame (…). Pochi attimi di ogni ben di Dio sono l’occasione per colmare un bisogno, dal quale è impossibile sottrarsi. Continua a leggere “Un’insalata in due!”

Tu o Lei?

Stamane sono andato dal mio solito distributore di benzina per fare il pieno e dopo averlo fatto, il ragazzo che mi ha servito, che tra l’altro non avevo mai visto, mi saluta dicendomi: “ Ciao! ”

Oh mannaggia mi son detto (con un sorriso), ci conosciamo?

Personalmente ho difficoltà a dare del “tu” a persone che non conosco, così come ho difficoltà a dare del “tu” per esempio ai miei collaboratori, anche se li conosco da diversi anni. Non è una questione di ruoli o di voler mantenere a tutti i costi le distanze, ma mi viene spontaneo farlo, è carattere o forse è l’educazione che ho ricevuto.

Oggi invece, soprattutto con le nuove generazioni, non esistono più barriere in questo senso, tutti siamo uguali a tutti, grandi e piccoli, professori e alunni, in tutte le professioni e in tutti i ruoli, che se da un lato è anche giusto umanamente parlando, come uomini, come individui, dall’altro la troppa “confidenza” crea degli equivoci, con conseguenze non sempre salutari soprattutto nei rapporti di lavoro.

Ho insegnato alcuni anni in una scuola professionale e agli alunni davo del “lei”, sovvertendo l’abitudine consolidata dei professori nei rapporti con gli alunni, era un modo per dimostrare rispetto nei loro confronti e, in effetti, al di là di certe inevitabili controversie caratteriali, è andato sempre tutto per il verso giusto, ci rispettavamo a vicenda, senza mai oltrepassare il limite del lecito.

Giusto o sbagliato che sia, secondo me il rispetto passa anche per queste piccole cose, non solo ovviamente, e allora se incontro per strada o al supermercato un signore anziano lo saluto dicendogli: “Buongiorno, come sta? “ 🙂

‘sera! ‘giorno!

Ciliegio_a

Questa sera per cena pasta a forno alla maniera Sicula con melanzane fritte – se le trovo belle belle – uova sode, ragù di carne, formaggio emmenthal, prosciutto cotto a dadini e, per finire, una sformaggiata di parmigiano, tanto, tanto.

La pasta deve essere assolutamente corta, tipo maccheroni, ne va del risultato finale.

Ogni forchettata di questa delizia la dedicherò a tutti voi – egoistoni che non siete altro, visto che non mi dedicate mai neanche una semplicissima moussina di cioccolato fondente, che “a me mi ci piace” tanto –

E a proposito di cose dette e scritte, non si sceglie di essere in un modo, lo si è. Le emozioni, i disagi, certe esperienze, servono per farci crescere, l’importante è metabolizzarle nel modo giusto.

E allora, meglio tornare a “creare” se stessi, per rinnovarsi, per rigenerarsi; bisogna trovare questa via e ognuno sa farlo in un modo unico e speciale, perché è questa unicità che a volte ci fa vivere una maniera diversa di sentire le emozioni, per poi condividerle con gli altri.

Chi sceglie di non farlo, vive la solitudine di un respiro che non si apre alla vita e, che triste considerazione.

Ciao!

* Svegliarsi.

Mattino

Brilla una luce negli occhi, come di un pensiero fuggitivo che attraversa la mente senza voglia di conferme, le labbra si socchiudono come per dare un bacio e alla fioca luce di una finestra appena socchiusa, il suono di un clic dice che finalmente l’emozione ha trovato il suo rifugio.

E poi un susseguirsi di frenesie che, tra attimi rubati, s’incastrano fino a diventare lucide follie vissute ad occhi aperti tra spazi circoscritti in un immaginario sempre più lontano; fulgida visione di un intreccio di mani e di corpi che si fondono e senza volerlo, dopo tanto lottare, finalmente è l’abbandono.

Svegliarsi al mattino e tra i vapori fumosi di una doccia, disegnare con il dito su di uno specchio la curva di una strada che mentre sale, lascia intravedere una lunga discesa che porta al mare.

E gocce di rugiada si staccano una dopo l’altra e nel rigagnolo appena nato, cercano la via per rompere gli indugi, a ritrovarsi ancora insieme verso qualcosa che le porti lontane; il calore di un abbraccio che le asciuga come fossero panni stesi al sole.

Svegliarsi e accorgersi di un nuovo giorno ritrovato.

E secondo voi?

Parlando con un’amica l’altra sera ho scoperto che ha un rapporto molto libero con suo figlio, nel senso che lui entra e esce di casa senza dirle mai nulla e quindi senza che lei se ne accorga, tant’è che alle volte per sapere se c’è deve andare a bussare alla sua porta.

Oh caspita, le ho detto, ma come, non ti saluta prima di uscire? Niente abbracci? Nemmeno un bacio?

Nooooo, mi risponde lei convinta, certe smancerie in casa mia sono bandite.

Oopsss!!! (Sorrido, direbbe Alessandra!)

Oh caspiterina, mi sono detto, come è possibile? E già, io vengo da una famiglia dove l’abbraccio, il bacio, o quanto meno il saluto era ed è un’abitudine consolidata, diciamo “normale amministrazione”, per usare un termine terra terra e comunque sia, non sono mai uscito di casa dei miei senza salutare, senza dal loro un bacio o soltanto un abbraccio, e così è sempre stato nella mia vita privata.

Ma d’altronde è uguale con mio fratello, con mia sorella, con i miei nipoti e, udite udite, con i miei amici più cari e se venisse meno, mi sembrerebbe mancasse qualcosa.

Non ritengo siano delle smancerie inutili, anzi, fa parte secondo me di quel senso di accoglienza che non può mancare in un rapporto familiare, ma anche tra amici intimi con i quali si condivide buona parte della propria vita, è quel contatto fisico che in qualche modo suggella una condivisione diversa dalle altre.

Nessuna intimità negata quindi, anzi, un’apertura a un dialogo che si affida ai gesti oltre che alla parola, per niente trascurabile secondo me, ma è ovviamente un mio pensiero.

E voi che fate?

Le nostre radici.

Messina_ab

Sono ormai parecchi anni che sono andato via dalla Sicilia, giovanissimo, a sedici anni, non mi rendevo conto di ciò che lasciavo e neanche di ciò che avrei trovato in un altro posto, anzi, ero abbastanza eccitato all’idea di fare nuove conoscenze, con parecchio spirito di adattabilità quindi, dispiaciuto comunque di abbandonare gli amici di sempre, gli affetti che per tanto e da sempre erano stati un riferimento, ma quando si è giovani certe cose passano in secondo piano, attratto più dalla novità che da altro.

Ieri ho avuto una bellissima conversazione al telefono con una mia cugina che non vedo praticamente da una vita, abbiamo parlato come se ci fossimo lasciati il giorno prima, mi ha raccontato di sé, persino di una ricetta tipica Siciliana, lo stoccafisso a ghiotta, che nella mia famiglia andava alla grande, delle sue belle nipotine che tra l’altro non ho mai conosciuto, dispiaciuti entrambi di tutto questo tempo passato e per non aver più condiviso come un tempo dei pezzetti di vita e alla fine ho avuto la sensazione di essermi perso qualcosa, pensavo che se li rivedessi, tranne lei, il marito e la figlia più grande, inevitabilmente sarei stato un estraneo per loro, il cugino del quale si era sempre sentito parlare ma, uno sconosciuto a tutti gli effetti.

Noi Siciliani abbiamo con la famiglia, in senso allargato, un rapporto quasi viscerale, con i miei cugini materni ci sono praticamente cresciuto ed è difficile dimenticare certi momenti, ma quando si va via qualcosa si rompe, è vero, i ricordi rimangono intatti, anche se nel tempo sbiadiscono a poco a poco, si cerca di ricostruirli, ma mancano troppi pezzi importanti, manca quella vita vissuta giorno dopo giorno che in rapporto, qualunque esso sia, è fondamentale, manca quel crescere insieme che è fatto di gioie e di dolori.

Nulla è perduto, ma quanta fatica ci vuole per riconquistarlo.

Accetta quel che c’è di buono!

Stasera sono un po’ confuso, ma credetemi il fatto che normalmente non ci ho capito niente non c’entra assolutamente.

L’altra sera ho visto un bel film e ad un certo punto la protagonista dice ad un suo amico una cosa bellissima, che al momento mi era piaciuta e basta, ma poi ripensandoci l’ho trovata così vera e al tempo stesso così improbabile che per tutta la sera non sono riuscito a togliermela dalla testa.

La frase, più o meno, diceva così: accetta quello che c’è di buono!

In effetti, se ci pensate, dovrebbe essere per ognuno di noi naturale farlo, ma invece non è proprio così, a volte si è più coscienti del male che del bene, ci si crogiola nel dolore senza però la speranza di risorgere e allora, a questo punto mi domando, cosa è che non va in noi? Continua a leggere “Accetta quel che c’è di buono!”

* Pensieri da custodire.

Pensieri_a

Pensieri che vanno e pensieri che restano, pensieri che lasciano traccia solo perché ci sono, pensieri che fuggitivi si appisolano dopo aver fatto capolino tra un pensiero e l’altro.

Ma anche pensieri che non danno tregua, pensieri che sarebbe meglio poter cancellare, magari con pensieri lievi che indulgono al sorriso, che aprono le porte alla spensieratezza o solamente all’essere, a volte, un po’ più tranquilli.

Pensieri fatti di parole, punti e virgole, come di una storia che non ha mai fine, pensieri che ci appartengono, ma anche pensieri che potrebbero essere di un altro, che riusciamo a fare nostri per dare riparo a pensieri che altrimenti potrebbero creare altri pensieri.

Pensieri di storie già finite, che magari potevano essere lì ancora da raccontare, pensieri che nell’immagine di un volto, o nel suono di una voce, o di parole scritte senza alcun pudore, trovano rifugio, pensieri da custodire.

Il like!

Like

Oggi vorrei affrontare un argomento a mio parere assai spinoso e che forse mi renderà antipatico a molti di voi, ma credo sia opportuno farlo, visto che tra l’altro in molti la pensano come me, anche se, ahimè, resta comunque un argomento che si discute in privato e mai pubblicamente.

I like, questi sconosciuti, mi verrebbe da dire!

E sì, perché ho notato che ultimamente la moda che imperversa nel mondo del blog è un uso indiscriminato di questa forma di condivisione, che va benissimo sia chiaro, ma che se fatta senza un riscontro obiettivo, sempre, cioè a dire il supporto di un commento, lascia un po’ perplessi. Continua a leggere “Il like!”