Abbandono.

Abbandono

Disabitata… è il titolo che ha usato la nostra amica Patrizia, per un racconto fotografico di una casa abbandonata, con delle foto davvero molto belle.

Sono sempre stato attratto dalle case abbandonate; ricordo che da piccolo, quando mia nonna mi portava in campagna per la vendemmia, insieme a mio cugino andavamo spesso ad esplorare casali e ruderi abbandonati, correndo a volte dei rischi incredibili.

Ci sentivamo un po’ come dei Tom Sawyer, gli impavidi protagonisti di un libro di Mark Twain, tant’è che una volta attraversando un ponte pericolante, per poco non abbiamo rischiato di cadere nel fiume sottostante, per il crollo improvviso di un’arcata. Continua a leggere “Abbandono.”

Facciamo pace?

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“’giorno!”

“ uhmmm! “

   “Perché fai il muso”

“Beh, dovresti saperlo perché e poi, come mai me lo domandi?”

 “Così, ti stavo guardando e allora… però devo dirti una cosa, quando t’infiammi sei desiderabile eh, lo so, ti sembrerà strano, ma quando ti vedo così, da un lato ti torcerei il collo e dall’altro, uhmmmm, mi fai venire delle strane idee in testa, anche nei momenti meno impensabili, mannaggia. “

“ Maddai, mi stai prendendo in giro? “

   “ No, no, assolutamente no.”

“ Detto così non è che mi convinci molto, c’hai un’aria…”

   “Eddai con quest’aria,  facciamo la pace?”

“Perché, abbiamo litigato? O forse vuoi litigare per fare dopo la pace?”

“Come siete complicate voi donne, insomma, volevo dire che mi dispiace che non ci siamo capiti e poi tu alle volte parti per la tangente.”

“Io? Ecco, vedi come sei, la colpa è ancora mia. “

  “Ma no, ma no, ma no, cosa hai capito, ecco, vedi che non ci capiamo; però quando t’infiammi… “

“ E già, alzo la voce, non prendo fiato e dico le cose attaccate una all’altra “

“ No, beh, sì, in effetti è così, ma anche se non ti vedo t’immagino rossa in viso che gesticoli come una forsennata e sei così anche quando… hihihiiiiiiiiiiiiiiiiii!!! “

“Ma smettila di fare il leccone, smettila, e poi non è vero che sono uguale a quando… beh, forse sono rossa in viso quello sì, ma non gesticolo, anche perché mi piace se lo fai tu. Evvabè, non gesticolare, cosa hai capito e poi smettila di sorridere e di guardarmi con quegli occhi da cockerino che poi fai venire la voglia anche a me. Eddai, smettila, uehmmm, sei tremendo!“

“Io? E cosa sto facendo, ti stavo soltanto ascoltando e ovviamente guardando, ma come mai sei rossa in viso e gesticoli come una forsennata?”

“Maddai, spetta, ho perso il filo. Perché stavi parlando di far pace? “ 🙂

“Ciao.”

“ Ciao.”

Non era la prima volta che la vedevo così com’era in quel momento, mi dava le spalle e con le mani raccolte dietro la schiena guardava fuori dalla finestra. Nella penombra riuscivo appena a scorgere il colore dei suoi vestiti e raggi di luce giocavano con i riflessi dei suoi riccioli neri, che quasi veniva voglia d’acchiapparli.

“Ciao.” mi risponde senza neanche girarsi, detto in un soffio, come se avesse qualcos’altro a cui pensare, ma che suonava come un richiamo dal profondo del cuore.

Mi fermo e la guardo. Mi piace guardarla mentre lei non mi vede, riesco a vederla oltre la sua immagine; con i miei occhi l’attraverso, l’accarezzo, cerco un appiglio per non lasciarla andare, per non perdere neanche per un attimo la sensazione di essere posseduto da quella meraviglia e pensieri si accavallano uno sopra l’altro, non cercano risposte, ma solo voglia di ritrovarsi ancora una volta desiderio che si perde in lucida follia.

Mi avvicino cercando di non fare troppo rumore, con il suo respiro che, passo dopo passo, mi sembra di avere incollato addosso, scosto i capelli, un lembo di pelle fa capolino da un raggio di luce che solitario era lì ad aspettare, sento l’odore della sua pelle che mi entra dentro ai polmoni, ancora immobile, china da un lato la testa e tra il sordo rumore di un intreccio di mani che si cercano, la sfioro con le labbra per dirle ancora…

“Ciao.”

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Un soffio…

Un soffio, e l’aria come per incanto s’era improvvisamente profumata di delicate essenze; si avvertiva leggero un fruscio, come ali di farfalla tinte di giallo e una luce riflessa splendeva mischiando colore a colore, l’ocra ruvido di un muro lavorato a rustico, ad una morbida pelle ambrata bruciata dal sole, l’uno che nell’altro cerca rifugio, tanto che era impossibile scorgere pieghe che non fossero uguali.

E dal soffio un respiro, nato dal profondo d’un petto che quasi temeva il movimento, paura di scoprirsi diverso dall’essere lì appeso in quell’angolo, a disegnare sinuose linee nate solo per confondere, per dare al respiro l’alito d’un soffio.

Quasi una resa, una sottomessa disfatta, che dallo sguardo si lascia accarezzare, come un pennello dalle setole scure che, senza far rumore, s’adagia compiaciuto e impregnato di colore, per indugiare poi su sfumature che danno forma e consistenza; magica dimensione che trascende dall’essere reale, frenetica e al tempo stesso pacata ricerca di una frase, di una parola, di una parola sola che sa di urlo sospirato a fior di labbra, sensuale motivo che serve solo ad appagare.