Tempo di Natale, quanta gente per strada, quante rincorse tra negozi che vendono e gente che compra.
Tra l’altro alle volte mi rendo conto che il tempo passa più velocemente di quello che sembri, i giorni, i mesi, gli anni me li sento scappare di mano e così ieri eri giovane con tante cose da fare e oggi ti ritrovi a non sapere più cosa hai voglia di fare.
Giorni fa incontro una mia cara amica e dopo i soliti affettuosi convenevoli le chiedo di Luciano, il papà e lei: “Come, non lo sai?”
La guardo con meraviglia e le faccio un cenno come per dire no, perché?
“Luciano è caduto giocando con il nipotino e si è rotto il femore e adesso è al San Pancrazio a fare riabilitazione “
“Maddai “ le faccio e nel frattempo penso che Luciano deve essere già vecchietto e una frattura del genere…
Sabato non avevo niente da fare e così decido di andare a trovarlo. Arrivo al San Pancrazio e alla reception chiedo di lui e la signorina gentilmente: “ Si trova nella camera n. 145 al quarto piano.“ Prendo le scale e mio Dio che tristezza, quanta gente in carrozzina, quanta gente con lo sguardo perso nel nulla!
Arrivo alla camera n. 145, busso, e sento una vocina roca che dice: “ aiuto… aiuto… “
Entro, mi guardo in giro e vedo un uomo di spalle in carrozzina incastrato sulla porta finestra della camera, mi avvicino e lui sentendomi arrivare dice ancora: “aiuto, sono rimasto bloccato.“
Prendo la carrozzina, piano piano la sposto e chinandomi a guardarlo, gli faccio: “ Ciao Luciano, cosa fai mezzo fuori e mezzo dentro alla stanza?”
Lui mi guarda e solo allora vedo un vecchietto magro, magro, con un cappellino in testa, un cappotto sopra le spalle, gli occhi verdi sbiaditi e lo sguardo un po’ perso.
“Ciao “ mi fa, “ma sai, ero uscito a fumarmi una sigaretta e sono rimasto incastrato. “
Mi guarda ancora e nel frattempo lo porto dentro la stanza e mi siedo accanto a lui.
“ Maddai… “ dice guardandomi “che bella sorpresa, quanti anni che non ti vedo“ lo dice inarcando le sopracciglia e abbozza anche un sorriso. “Ma no “ gli dico “ l’ultima volta ci siamo visti l’anno scorso, ricordi?“
E così, parliamo del più e del meno, mi racconta della sua avventura, di come era stato stupido per essere caduto giocando con il nipotino, che stupido che era stato; gli ho chiesto quanti anni avesse e lui: “ Ottantatre, però me ne sento venti di meno, mi sento un giovanottino, mannaggia questo piede mi fa un male, poi da quando mi hanno operato non lo muovo più bene, mi devono aver toccato un nervo e scusa, avrei bisogno di andare in bagno, tu, scusa, puoi suonare all’infermiera?”
La chiamo e vedendolo un po’ imbarazzato, lo saluto promettendogli di venirlo a trovare ancora e lui: “ Sì, ciao, grazie della visita, ma, ma tu sei?”
E me lo dice tenendomi la mano tra le sue, con un dolce e tenero sorriso.
“Sono Arthur“ gli faccio, “ricordi? Ho sistemato la casa a tua nipote Luisa“
“Già“ mi fa, senza lasciarmi finire di parlare senza neanche ascoltarmi e stringendomi di più la mano: “ Già che stupido, volevo dire Arthur, che sciocco e già, sei il medico che mi ha visitato quando sono arrivato qua, mi sembrava di averti visto ieri mentre andavo a fare ginnastica.“
A quel punto non lo contraddico neanche e poi mi guarda ancora dritto negli occhi e ancora con un sorriso: “Ciao carissimo, Buon Natale, grazie ancora della visita, vienimi a trovare se hai voglia, se mi dici in quale stanza sei magari lo faccio anch’io, ho tutto il tempo che vuoi. Che sciocco che sono stato!“
Sono uscito pensando a come fosse cambiato, a quello sguardo perso, a quegli occhi profondi, a quella voglia di essere lasciato da solo con il suo mondo.