Ri_pensandoci…

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E sì, qui lo dico e qui (non) lo nego, a costo di farlo sapere al mondo intero, se avessi avuto un figlio, avrei voluto una femminuccia.

Oggi ero al mio solito centro commerciale mangiando il mio solito piatto di tagliatelle e davanti a me, nell’altro tavolo, c’era un ragazzo di circa trent’anni, con barba, baschetto da intellettuale con la faccia simpatica che mangiava con la sua piccola, un batuffolino di circa tre anni con gli occhiali, capelli lunghi, maglietta bianca e un visino con due occhetti furbi furbi, che non vi dico. Non stava ferma un attimo, gironzolava intorno alla sedia del padre che, amorevolmente, appena lei finiva il suo piccolo panino, gliene dava un altro.

‘nnagg… com’erano belli!

Inutile dire che quando vedo scene del genere m’intenerisco. Vedere quel trottolino appiccicata addosso al padre mi fa pensare chissà quali momenti non vissuti ahimè, ma che forse mi mancano tanto proprio per questo.

Certo, c’è il rovescio della medaglia da prendere in considerazione: nell’altro tavolo c’erano due ragazze sedute con due ragazzi, adolescenti, che, tra una patatina e l’altra se la ridevano di gusto. Ebbene, pensare che dopo l’avrei dovuta dividere con quel tipo foruncoloso e con la voce baritonale, che mangiava anche con la bocca aperta e rideva come un allocco, beh, la cosa non è che mi facesse tanto piacere, anzi, dippiù, dippiù. Tra i due, lei era senz’altro la più sicura, probabilmente un modo per misurarsi, ma questa è un’altra storia

Chissà, magari sarei stato un papà accomodante, oppure, preso da sacro furore Siculo, un papà geloso e ossessivo; boh, fatto sta che a ripensarci, una femminuccia l’avrei voluta davvero, forse anche un po’ smorfiosetta, ma quel tanto che basta, giusto per stringerla un po’ tra una coccola e l’altra.

Evvabè, ‘giorno, ‘sera, ‘notte, ‘nnagg…!!!

Riflessi! Buona Pasqua.

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"Chi sei?" domandò il piccolo principe, "sei molto carino…"
  "Sono una volpe", disse la volpe.
  "Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, "sono cosi triste…"
  "Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomesticata".
  "Ah! scusa", fece il piccolo principe.
  Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
  "Che cosa vuol dire "addomesticare"?"
  "Non sei di queste parti, tu", disse la volpe, "che cosa cerchi?"
  "Cerco gli uomini", disse il piccolo principe. "Che cosa vuol dire "addomesticare"?"
  "Gli uomini", disse la volpe, "hanno dei fucili e cacciano. E molto noioso! Allevano anche delle galline. E il loro solo interesse. Tu cerchi delle galline?"
  "No", disse il piccolo principe. "Cerco amici. Che cosa vuole dire "addomesticare"?"
  "E una cosa da molto dimenticata. Vuol dire "creare dei legami"…"
  "Creare dei legami?"
  "Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi.
  Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo".
                        Dal “Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry

Se solo provassimo a leggere più spesso queste parole, ci sentiremmo uomini tra uomini, consapevoli, legati da uno stesso destino. Ma oggi, una società malata come la nostra, vittima dei propri egoismi, non tiene conto di quanto sia preziosa la vita.

E ogni giorno che passa, provo sempre più paura e stupore per così tanta malvagità. E non mi riferisco soltanto agli ultimi gravissimi fatti di cronaca, a quella ferocia compiacente che non si accontenta solo di uccidere, ma di lasciare in chi riesce a sopravvivere nella mente e nel corpo, tracce disumane, menomazioni da portare come un pesante fardello, con sé per tutta una vita. Continua a leggere “Riflessi! Buona Pasqua.”

Un martedì qualunque.

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Forse una delle cose più belle a mio parere, è riuscire a guardare gli altri con quella curiosità che ha dentro di sé un valore aggiunto, l’idea che a questo mondo non siamo soli e che tutto ciò che ci circonda, proprio perché ne facciamo parte, ci appartiene, come se fossimo, in un certo senso, una grande famiglia.

Se mai si riuscisse a portare a compimento una tale teoria, il mondo sarebbe meno malato, immagino.

Non è l’utopia del vogliamoci tutti bene, baci e abbracci senza distinzione o paure di sorta, del dejà-vù o della banalità di un martedì qualunque, l’indifferenza che sa di apatia nasce prima ancora dentro di noi, ed è poi solitudine, lì si sviluppa, e nel renderci complici di noi stessi, ci toglie il piacere di guardare al di là di quel muro che è fatto solo di ombre.

E’ ciò che ho pensato oggi in un lampo, mentre mangiavo seduto ai tavolini di un centro commerciale; accanto a me ad un certo punto è arrivato un ragazzo di circa 25 anni, ha aperto lo zaino, tirato fuori un contenitore di plastica con dentro della pasta al sugo, un tovagliolo e una forchetta e dopo aver fatto scaldare il tutto nel bar vicino, si è seduto a mangiare, in una mano la forchetta e nell’altra lo smartphone.

In tutto questo tempo il suo sguardo non si è mai “scontrato” con quello del vicino e men che meno ha vagato in giro distrattamente. Un’anima persa (…) in mezzo ad un mondo chiassoso e variopinto.

Dopo si è alzato e così com’era venuto se ne è andato, sguardo chino solo su se stesso.

Niente di anormale probabilmente.

Potrebbe bastare un fiocco?

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Forse viviamo in un mondo che è pieno di solitudine?

E’ una domanda che mi pongo ormai da un po’, ma alla quale non so dare una risposta, ahimè.

Ieri ho saputo che una persona che conoscevo era morta in modo accidentale e malgrado non l’avessi mai frequentato, pur conoscendo la sua storia, mi è dispiaciuto molto. Separato dalla moglie da circa vent’anni, aveva poi rotto anche con il figlio che, ad un certo punto, non ne aveva più voluto sapere nulla. In tutto questo tempo, ha vissuto senza più rifarsi una vita – un’altra donna, un altro figlio – e tranne i genitori, frequentava pochissima gente. Niente amici dunque.

E malgrado siano passati diversi anni, non ha mai provato a riprendere il rapporto con il figlio e allo stesso modo, anche il figlio non lo ha mai cercato. Non l’ho mai capita questa cosa, non era successo nulla di irreparabile, ma l’orgoglio forse, senz’altro la paura di un rifiuto, aveva messo fine ad un rapporto che magari provandoci, quando ce n’era l’opportunità, si sarebbe potuto ricomporre.

In effetti, era successa la stessa cosa tra lui e il padre, che andato via di casa, aveva rotto con tutta la famiglia, figli compresi. Come è strana la vita!

E’ una storia triste, soprattutto perché la sua morte si è portata con sé un fardello difficilmente risanabile per un figlio che, allo stesso modo, non ha mai avuto il coraggio di affrontare un confronto con il padre, lasciando che il rancore, e quel che è peggio, l’odio e l’indifferenza, calasse inesorabilmente tra di loro.

Una storia come tante a dire il vero, con una costante, l’incomunicabilità, che secondo me è il vero male di questo nostro secolo controverso, con profonde radici sulla mancanza di valori veri, anche i più elementari, i ruoli, il rispetto, la condivisione, e non per ultimo l’amore e l’affetto, lasciando spazio all’indifferenza e al rancore, pur vivendo la vita con sofferenza.

E sì, penso che Lui abbia vissuto nel dolore tutti questi anni, così come il figlio immagino. Ma cos’è che impedisce alle persone di fare un semplicissimo gesto, magari porgere una mano?

Meglio soffrire. Piuttosto la solitudine.

Ma che enorme tristezza è mai questa!

Evvabè, potrebbe bastare un bel fiocco per fare pace con il mondo intero?

Firenze, la mostra con Chagall…

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La Crocifissione bianca di Chagall

Se non fosse al tempo stesso ridicola e farsesca la cosa, potrei dire tranquillamente che mi veniva da ridere leggendo oggi su Repubblica la notizia con un titolo alquanto eloquente “Firenze, la mostra con Chagall e Van Gogh vietata ai bambini della scuola: “Urta i non cattolici”. Ma non è così, purtroppo, proprio perché da ridere c’è ben poco, se si considera che a volte la voglia di protagonismo mista a ignoranza ha degli effetti devastanti.

E veniamo alla cronaca.

La Crocifissione bianca di Chagall, il quadro preferito da Papa Francesco che per l’occasione della sua visita a Firenze era stato spostato da Palazzo Strozzi al Battistero, non potrà essere visitato dagli alunni della terza elementare della scuola Matteotti del capoluogo toscano. E così neanche la Pietà di Van Gogh, la Crocifissione di Guttuso, l’Angelus di Millet e le altre cento opere della mostra Divina Bellezza. Ai bambini dell’istituto così non sarebbe concesso di conoscere le sculture di Fontana, ma anche i quadri di Munch, Picasso, Matisse che, nell’esposizione fiorentina, riflettono sul rapporto tra arte e sacro avendo come filo conduttore proprio il tema della religione.

La gita per gli alunni del Matteotti è vietata. Il motivo? La visita è stata annullata per tutte le terze per venire incontro alla sensibilità delle famiglie non cattoliche visto il tema religioso della mostra”  (dall’articolo di Gerardo Adinolfi e Valeria Strambi su Repubblica del 12 novembre 2015 )

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Impara l’arte e mettila da parte. Oppure no?

Igor

Non capisco, mannaggia, non capisco. Non capisco cosa c’entri l’arte con certe performance che di artistico hanno poco a che fare, secondo me. Sì, c’è l’idea, che solo a pensarla immagino debba esistere una mente a dir poco perversa, ma d’altra parte si sa, l’artista o chi si industria per apparirlo, deve essere un po’ pazzoide, fuori dalle righe, ma il troppo è troppo ari_mannaggia, deve esserci un filo conduttore, un qualcosa che chi guarda possa provare, che siano sensazioni, o emozioni, insomma, qualcosa, qualunque essa sia.

Oggi, navigando qua e là m’imbatto in un sito, dove una mia vecchia conoscenza che non vedo da almeno 15 anni e che, trasferitasi a Parigi, si è dedicata all’arte – fotografia, pittura e quant’altro beata lei – pubblicava un video di una sua performance. Con l’aiuto di un’amica, in uno spazio quadrato delimitato da linee, tirava fuori da una scatola di legno dei bastoncini appuntiti che sembravano delle grosse sottili matitone, di circa un paio di metri l’uno e dopo averli appoggiati per bene sulla parete che faceva da sfondo, indossata una maschera, li posizionava sul pavimento buttandoli a casaccio uno sopra l’altro, aspettando che rotolassero fino a fermarsi.

Avete presente lo Shangai, quel gioco che si fa con i bastoncini? Più o meno la stessa cosa, o almeno questa è stata la mia impressione. E poi, mi sono detto? Dove sta la novità? L’idea se pur simpatica, mi sembrava piuttosto uno scimmiottamento di una delle tante istallazioni anni ’70 che inneggiavano all’arte oggettuale – a questo proposito mi vengono in mente tanti trenini di legno diligentemente messi uno dietro l’altro che facevano bella mostra di sé in uno scenario fantastico di una chiesa sconsacrata – dove il significato era affidato più al pensiero di chi l’aveva immaginata, piuttosto di chi stava lì a vederla.

E già che poi di fronte a queste cose si rimane un po’ intimiditi, nessuno ha il coraggio di dire che non c’ha capito nulla e magari ci si complimenta con l’autore per l’idea geniale, come sempre succede.

L’arte, ho idea, dopo la famosa “Merda d’artista” di Piero Manzoni del 1961, credo abbia perso ogni ritegno, qualunque cosa è considerata opera artistica se solo è ben pubblicizzata e se ha la fortuna dell’appoggio e della recensione di un ben noto critico d’arte.

C’è ne tanta secondo me di arte buona al giorno d’oggi, astratta o figurativa che sia, arte che con la sua forza espressiva si pone al di sopra di opere che, caso contrario, spesso cadono nella banalità più assoluta. Non basta un’idea che sconvolga o che stupisca, serve dell’altro. Come questa estate, quando, entrato in una chiesetta Romanica ad un’unica navata, la prima cosa che ho detto ad alta voce è stata: “Che bella!”

Ecco, se un quadro, un’istallazione o una scultura mi provoca questa emozione, allora è arte, altrimenti è solo un normalissimo, banalissimo dejà-vu

*** Nella foto due opere del celebre scultore recentemente scomparso Igor Mituraj in argilla, matrici originali di successive fusioni in bronzo esposte nella chiesa di Sant’Agostino a Prietrasanta (Lu). La città di Pietrasanta ha dedicato al maestro una mostra con alcune opere monumentali nella piazza del Duomo.

Emozione pura, senz’altro da vedere.

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*** Le statue di Igor Mituraj viste da un’altra angolazione nella Chiesa di Sant’Agostino a Pietrasanta, edificata nel XIV secolo. Oggi nella chiesa il culto è sospeso e viene utilizzata soprattutto nei mesi estivi per delle mostre.

Che strana questa nostra Italia…

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Che strana questa nostra Italia, da un lato si rincorre la maldicenza gratuita e inopportuna e dall’altro si osannano i buoni sentimenti tra una lacrima e l’altra.

Lo ammetto, in questo guazzabuglio non ci capisco granché, e la voglia di lasciarmi alle spalle questa gigantesca ipocrisia cresce di giorno in giorno.

Da poco è stato eletto il Capo dello Stato e qualche giorno fa le due ragazze volontarie sono appena tornate in Italia e subito, per “dovere di cronaca”, ovviamente, la macchina del fango si è messa in movimento. Scavano alla ricerca di malefatte, poche in effetti, ininfluenti a dire il vero, ma ci provano istillando nella mente di chi legge il dubbio che qualche cosa di sbagliato debba esserci per forza.

Ci sono giornalisti, politici, avventurieri dell’insulto a prescindere che hanno costruito la loro immagine in nome di una presunta verità da sviscerare ad ogni costo, non importa se può far male, non importa se si calpesta la dignità di un individuo, per un attimo insieme al malcapitato si è protagonisti su di un palcoscenico senza pareti, in uno scenario a 360 gradi che lascia senza fiato.

E che dire delle lacrime a gogò che si sprecano nei vari programmi televisivi?

Ne guardavo giusto uno l’altra sera, un ragazzo, bravo ragazzo a dire il vero, aveva invitato sua madre per dirle quanto l’amasse e che aveva capito quanto fosse importante che lei potesse contare su di lui dopo la morte del padre.

Beh, ammetto che mi sono emozionato, la regia, l’evento, le parole non poteva fare un effetto diverso, ma dopo, quando le luci si sono spente mi sono chiesto che senso avesse tutto questo e soprattutto, a chi servisse.

Alla fine siamo gli stessi che si fermano a guardare con curiosità morbosa un morto sul ciglio della strada, gli stessi che non riescono a guardare con ammirazione il collega ammettendo che sia stato più bravo di noi o che insinuano chissà quali scenari per screditare l’amico più caro per un presunto torto subito.

Sì, gli stessi che chiusi nel loro piccolo mondo non riescono a guardare a un palmo dal loro naso, soli in una società che non offre tante alternative, soli alla ricerca di qualcosa in cui credere.

L’amore e l’odio va sempre di pari passo, dicono i bene informati, ma quanto si crede nell’amore e quanto ci si abbandona alla ginnastica dell’odio?

Vabbè, giusto così per dire.

Girovagando

Girovagando_aL’avevo promesso a Patrizia e anche se con un po’ di ritardo – ultimamente di promesse sulle poesie di mio padre ne ho fatte tante, ma il tempo, mannaggia, il tempo, perdono, perdono, perdono… – pubblico un’altra poesia di mio padre Santi e lo faccio pensando che da lui ho preso tanto e lo ringrazio con tutto il cuore per questo. Ho preso l’attenzione per le cose che ci circondano, l’abitudine a pormi delle domande, sull’uomo in genere, su ciò che è giusto e su ciò che non lo è affatto, l’abitudine nel considerare che nulla è dato per scontato, perché parlarne fa bene, parlarne senza mai smettere di farlo ci rende consapevoli, e la consapevolezza è il primo passo per una vita migliore.

Lui aveva dentro di sé una spasmodica voglia di “guardare”; un occhio disincantato che però conservava tutta la sua ingenuità, meravigliandosi se le cose non andavano per il verso giusto.

Un’analisi attenta, spesso profonda e allo stesso tempo amara, ma sempre con un finale di speranza.

E allora, grazie di tutto questo Papà Santi.

Girovagando

Girovagando
tra le aiole del giardino,
guardo i colombi
che frugano tra l’erbe.
A dritta e a manca frugano
ed oltre le stradelle
che di quel prato segnano i confini.
Frugano quelli, frugano,
attenti a non fiatare;
e non si curano di me,
del mio vagabondare solitario,
del mondo che d’intorno si frantuma.
Par che siano satolli,
ma non cessano ancora di frugare
cercando i resti del frugale pasto
che un bimbo sbocconcella.
Quanta gente ripete il verso
di quei pennuti che non han ritegno!
E spira il vento,
spira lieve sul bimbo e sui colombi,
con l’erba si trastulla.

Santi

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L’omologazione e l’arte.

Spagna-Fico

Capita alle volte di andare in giro soprattutto in vacanza, rendendosi conto che ciò che ci offre questo mondo sempre più globalizzato è tutta una serie di “prodotti”, nel consumo, nella cultura, nei costumi e perfino nel pensiero, che nella loro essenza più propria ha totalmente perso unicità.

Volendo banalizzare, basta fare un giro tra le bancarelle che si trovano nei centri turistici, sempre meno turisti che si accalcano per curiosare e sempre più gingilli tutti uguali tra di loro.

Un prodotto omologato dunque, probabilmente frutto di stranissime ricerche di mercato. Qualcuno pensa ai nostri bisogni per renderli ogni giorno sempre più simili e uguali agli altri. Appunto!

Che meraviglia. E non solo.

Girando per gallerie d’arte questa estate ho avuto la stessa sensazione; quadri, sculture, piccole istallazioni che non comunicavano ahimè nulla di nuovo, anzi, un déjà-vu per certi aspetti sconcertante. Oggetti belli – alcuni – giusto adatti per stare in bella vista in un soggiorno, un elemento d’arredo dunque che con l’arte, intesa come l’espressione di un’emozione pura e unica, non ha nulla a che vedere.

Forse stiamo vivendo un momento storico un po’ confuso, tanto fermento, nell’arte in genere, nel design, nell’architettura, nella musica, complice la comunicazione che grazie alla rete è immediata, ma allo stesso tempo una carenza di idee che proprio nell’omologazione trova tristemente riscontro.

Tanti mezzi espressivi utilizzati per comunicare, video, film, istallazioni, una narrativa dove spesso l’opera stessa non esiste, perché è più importante stupire, ci si affida all’evento piuttosto che ai contenuti, dove alla fine anche l’emozione è un vago ricordo.

Forse sono io che non mi accontento più, vorrei vorrei vorrei, tanta energia dentro di me, ma anche tanta noia per ciò che incontro.

Evvabè, tiriamoci su le maniche, chissa!

Strano pensiero.

Oggi più che mai sono sempre di più i pensieri strani che ci accompagnano giorno dopo giorno, complice l’inevitabile gioco di potere e l’indifferenza, cronaca giornaliera ahimè.

Ma mi consolo, tra le poesie di mio padre di quasi venti anni fa, ne ho trovata una che parla proprio di questo, e allora, tra un pensiero e l’altro è meglio riflettere, senza mai perdere però la voglia di crederci in qualcosa di diverso.

Strano Pensiero

Strano pensiero sfiora la mia mente:
è illusione la vita
oppure è come il vento
che senti mormorare ma non vedi?
Sorprende il botto se, anzitempo, scoppia
in risalita.
E l'uomo non sa, finge
di non sapere o a se stesso mente;
il vuoto fa da schermo
alla sua solitudine.
Ei lotta, s'arrabatta per un pezzo
di terra, s'accapiglia
per il vano possesso d'una pietra.

                                                  Santi
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