Vogliamo chiamarla conquista?

E così, gira e rigira, l’argomento corteggiamento tra uomo e donna è ancora in voga o forse è meglio dire che non è mai passato di moda. E perché mai, direte voi?

                    Tempi moderni, direbbero alcuni, l’emancipazione della donna, la sua aggressività in certi casi e la conseguente timidezza dell’uomo, direbbero altri.

Perché ne parlo? Ho preso lo spunto dal bell’articolo scritto da Pensieri&Perline, “L’Ambulante e la Perlina”, una storiella dove lui si mostra interessato, dove lei timidamente annuisce, ma ripensandoci dopo magari rinuncia, e dall’articolo scritto da Diemme Il corteggiamento”, visto dal punto di vista prettamente femminile. Ambedue gli articoli stimolano più di una riflessione, e per questo vi invito ad andare a leggerli.

Ma c’è poi così tanta differenza nell’intendere il corteggiamento tra l’uomo e la donna? Continua a leggere “Vogliamo chiamarla conquista?”

Ci credo ancora?

Ci credo ancora?

Pensare che tutto ciò che c’è dato, può non essere all’improvviso più lo stesso, per una parola detta, forse “malevola”, ma quale poi, per un momento di stanchezza, per un malinteso non chiarito, o forse difficile di chiarire, per uno sguardo che non c’è stato, ma solo perché impossibile da vedere.

Non sono scuse che cerco, e neanche giustificazioni da proporre, e poi perché mai, se qualcuno di voi mi ha letto durante questi mesi, sa che non vado cercando appigli dove aggrapparmi.

Solo un attimo per riflettere, per darmi e darvi la possibilità di rivedere con occhi sgombri dove può andare a parare un rapporto che può sembrare fatto solo di parole.

Ho iniziato per caso e poi per gioco questa avventura, in nome forse di una libertà che, dietro la parola, poneva la fiducia, che dietro uno sguardo che non c’era, l’accento alle emozioni, che dietro ad un paravento ben protetto, cercato, voluto e non voluto, la disponibilità a condividere.

Non mi sono posto troppe domande, mi sono “tuffato” nella rete e ho cercato di dare qualcosa, ma senza l’assillo di pretendere dell’altro.

Non ho aperto subito un blog e d’altra parte sono sempre stato scettico sul farlo e la mia coerenza me lo ha quasi imposto, ma mi sono messo dall’altra parte, dalla parte di chi, prima di dire ascolta e dopo, se proprio è il caso, dice qualcosa.

Sono scappato da quei diari riproposti in chiave quasi patetica, da quelle letture che nascevano da malcontenti,o da occasioni mancate, da situazioni noiose a volte solo per il gusto di esserlo. Ma anche da chi, dietro ad un blog, poneva l’immagine di sé al di sopra d’ogni cosa, senza creare alternative, senza offrire o dire niente.

In questo spazio ho trovato una via da seguire, e senza che me ne rendessi conto, è diventata lunga, a volte piena di ostacoli, di silenzi non contemplati, di lunghe code nell’attesa di risposte non sempre ricevute.

Ma gli sguardi continuavano a non esserci.

E poi, pian pianino, ho trovato le persone, semplici persone che avevano voglia di dividere e questo “spazio” le lasciava libere di farlo, proprio perché non era ad un post che dovevano rispondere ma solo a quel bisogno che è un po’ di tutti, di parlare solo per farlo, di parlare per ricevere, se era il caso, una risposta.

Ed è in quelle parole, dette senza volere chiedere e in quelle risposte date solo con la voglia di esserci, che ho incominciato a scorgere gli sguardi.

Pazzia, direte, o forse un attimo d’incertezza? No, assolutamente no.

Seduti uno accanto all’altro, alla ricerca di calore, il suono della voce di chi parlava, era un sottofondo alle cose che diceva; a volte risate incontrollate, a volte poesie sussurrate, a volte canzoni strimpellate, a volte racconti di storie che con le storie non avevano niente a che vedere, a volte arringhe appassionate su cose che purtroppo potevano dividerci, a volte confessioni fatte sottovoce e, in tutto questo, potevano non esserci gli sguardi?

Erano sguardi fatti di parole, che ognuno di noi offriva agli altri senza pretese, senza volere per forza qualcosa in cambio, a volte come carezze, a volte fissi in cerca di risposte. Erano sguardi fatti di parole, magari solo per dire arrivederci, buon giorno o buona notte, e chi lo leggeva il giorno dopo, vuoi che non li vedesse?

Questo per dire, che serve la voglia, per sentire, oltre che per vedere l’altro. E forse non è così anche nella vita reale? Quanto di ciò che vediamo o sentiamo ci resta veramente impresso?

In questo mondo virtuale, il fatto di non potersi guardare negli occhi si fa sentire, essere dietro ad un video e una tastiera, può creare dei malintesi, il mezzo ci limita, ma siamo sicuri che potersi guardare sempre negli occhi dia ottimi risultati?

Io non ne sono del tutto convinto, ma mi concedo la possibilità di crederci, così come me la concedo nel credere in un rapporto che può sembrare fatto solo di parole.

E oggi che anch’io ho un blog, ci credo ancora.