Ciao Raga!

Ho gironzolato un po’ tra le mie carte, ormai quasi solo fatte di byte, alla ricerca di qualcosa da mettere sul blog, poi invece ho pensato, perché non scriverlo questo qualcosa, il momento è giusto e allora, eccomi qua.

E adesso, mi sono domandato, di cosa parlo? Incomincerei da oggi, nella Casa di Erzicovina c’è stata un po’ di confusione, l’inizio delle vacanze per alcuni e quindi baci e abbracci, un po’ come ai tempi della scuola, con l’augurio di rivedersi a settembre.

Ma non è andata così realmente; sì, i baci e gli abbracci ci sono stati e magari anche qualche lacrimuccia ributtata indietro, ma la cosa speciale è che questi amici che ci salutavano, erano gli amici invisibili, quelli conosciuti per caso che, nel giro di pochissimo tempo sono diventati così reali da riuscire persino a vederli nelle loro scorribande tra le pagine di questo mio blog. Continua a leggere “Ciao Raga!”

Così come siamo…

Quante volte ci facciamo del male, perché fraintesi nelle nostre vere intenzioni…

          Non è che noi siamo diversi da come gli altri ci vedono, tendenzialmente siamo sempre gli stessi, ma può capitare di avere delle intenzioni che per pudore, o per amor proprio, abbiamo difficoltà ad esprimere totalmente ed allora ecco che scoppia l’incomprensione.

L’immagine che noi riflettiamo, secondo me non è mai parziale, è l’immagine di noi che si “scontra” con altre immagini, spesso contrastanti, ma non per questo agli antipodi della comprensione. Continua a leggere “Così come siamo…”

Lo scialle di seta nero…

E così prima di sera lei prese lo scialle di seta nero e se lo mise sopra le spalle, adagiata in silenzio contro il muro, senza nessuna voglia di risposte.

Mi piacerebbe intrufolarmi tra quelle parole non dette per far parte di quei silenzi così non diventano più tali e poi, offrirgli l’appiglio per aggrapparsi, per non restare più in bilico, per ritrovare la strada, dove ci sono spazi, idee e cieli, dove lo sguardo si perde, dove ci sono le emozioni, dove quel battito in più che va cercando, possa tornare ad esserci.

Cos’è che rende la sua voce simile ad un’emozione che attraversa l’anima, fino a sentirla dentro nelle ossa, e ci resta tutto il tempo che passa, per riviverla, poi, la volta successiva?

Una domanda che trova risposta mentre la guardo camminare incurante della mia presenza, capelli bagnati, collant e maglione largo un po’ slabbrato, una leggera sbavatura nera che fa da cornice a due occhi scuri e profondi come il mare, l’andatura lenta di chi sa di essere osservata, forse anche appositamente lenta, quasi svogliata, l’esibizione di un corpo che, senza curarsi più di tanto, seduce e incanta.

Uno, con tutto quel mare.

Canneto

“Quando tira ponente nel cuore…”

… l’anima si riscalda, perché vado alla ricerca di quel soffio che rimescola il mio modo di sentire e allora guardo il mare come per ritrovare me stesso che, nel frattempo, si era perso senza poter guardare il mare. Quante volte mi sono chiesto cosa avesse da raccontarmi, il mare, quante lotte, quanto dolore, magari quante gioie, quante verità in quel silenzio assorto e solitario; non aspetta altro che essere ascoltato, il mare, allora vedi sguardi che si perdono lontano, canti con voci fioche e rauche di terre nostalgiche e abbandonate, parole sussurrate per paura di far troppo rumore, parole che parlano d’amore, d’amore per il mare. In una notte d’estate, alla luce di una lampara, lasciandomi cullare dal dolce rumore delle onde che accarezzano la barca, alla ricerca di un pesce da pescare, guardo la luce riflessa e in mezzo, tutto quel luccichio, sembrano occhi che mi guardano, che hanno solo voglia di raccontare il mare; poi penso a quel pescatore Santiago, in lui tutto era vecchio, la pelle bruciata dal sole, le rughe come solchi profonde sul viso, le grosse mani tozze e piene di tagli, tranne i suoi occhi, che malgrado il tempo, erano rimasti azzurri, azzurri come il mare; ed è così che i miei occhi si sono persi in un orizzonte che non c’era, da solo sul pontile in un fresco mattino d’estate guardando il mare, più guardo e più sembrava di riuscire a vedere ancora tanto mare. Se penso a qualcuno lontano, lo penso in riva al mare e allora, è quel mare che ci separa e poi ci unisce, la risacca delle onde in riva al mare poi, poi seduto in riva al mare di sera, quando il sole si tuffa per diventare tutt’uno con il mare, sento di esserci dentro anch’io, uno con tutto quel mare.

My beautiful picture

Immaginate una casa con un tetto piano e una terrazza sopra rifinita come fosse un merletto pitturata di bianco con mani grossolane di calce viva, solo una grande, grossa porta di legno, con sopra tante mani di pittura sovrapposte che si vedono, l’una all’altra, dipinta malamente d’azzurro ed anche un po’ scrostata, e davanti la spiaggia di sassolini bianchi, piccoli, levigati e lisci, e verso la battigia, sempre più fini, con tante conchiglie colorate, che s’intravedono mischiate tra di loro; immaginate l’alba, aprire quella porta, vedere il mare così piatto che sembra quasi finto, i riflessi di luce che si specchiano nell’acqua, lontano due barchette che ritirano le reti, l’aria frizzante al punto che avere indòsso un maglioncino e tenere le braccia intorno al petto è solo voglia di sentire un po’ di caldo, affacciarsi e rimanere senza respiro, per quanto è bello e puro ciò che vedi; immaginate che sulla spiaggia, davanti alla casa, c’è una piccolissima piazzola fatta di sassi sistemati alla rinfusa, con sopra un tavolo lungo in ferro battuto arrugginito, con il piano di cristallo con delle macchie opache forse del tempo, sedersi per consumare un buon caffè, guardarsi negli occhi e senza dire parole sorridere al mattino felici di esser lì e allora, niente più affanni, niente più voglia di scappare, il sole sorge lentamente e lentamente anche il sorriso s’illumina d’immenso, rimanere seduti e non aver voglia più d’alzarsi, scoprire d’aver vissuto quel momento ma d’esserci dentro come se fosse nuovo.

Immaginate!

Lontano dagli occhi…

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, famoso e strausato detto che trae le sue origini da una frase di Seneca sull’influenza negativa che la lontananza esercita sui ricordi di una persona.

Ebbene, cosa c’è di vero in tutto questo?

Se dovessi dare una risposta in base alla mia esperienza, direi che di vero c’è ben poco, visto che i ricordi che mi legano ad una persona, in positivo, li relego in una parte di me che difficilmente si dissolve come neve al sole. Quando in genere si affronta quest’argomento, io faccio sempre l’esempio di una mia cara amica che ho conosciuto ai tempi dell’università a Firenze, e che dopo varie peripezie di entrambi, ci siamo persi completamente di vista. Ci sentiamo raramente e raramente ci scambiamo qualche e-mail, eppure io ho la sensazione che malgrado tutto, quando la sento, mi sembra di averla lasciata il giorno prima. Continua a leggere “Lontano dagli occhi…”

Guardo…

Raggio
© arthur

          Che cielo che c’è oggi, ragazzi, un cielo davvero bello, di quelli che, quando li guardi, ti sembra di andare oltre, limpido, sereno, di un azzurro così intenso che se dovessi dipingerlo, avrei senz’altro mille difficoltà.

Già, direte voi, come al solito nonno Archimede non ci ha capito nulla, ma questa volta non è così, credetemi, questa volta il cielo e il mio cuore li sento battere allo stesso modo, quasi fossero accovacciati l’uno accanto all’altro.

          E allora mi guardo intorno e cerco di cogliere ogni minimo movimento di ciò che mi circonda e magari mi sento dire, guardami, esisto anch’io, sono un pulviscolo, è vero, ogni alito di vento mi porta via, di qua, di là e stanco di tanto correre, mi appoggio, assaporo il morbido e il duro, sento l’odore che mi circonda, piango e rido dei pianti e delle risate di chi mi ospita per un po’, fino a quando un altro alito mi sposta e allora ricomincio, sempre, comunque ricomincio, senza stancarmi mai…

E magari penso a Nino, a Germano, chiusi in quella stanzetta sorda e stanca come loro, quel pulviscolo lo guardano appena, mentre si muove dentro ad un raggio di luce che attraversa i vetri opachi della finestra, ma in realtà non lo vedono, non lo sentono neanche parlare, perché i loro occhi umidi e sbiaditi, fissano un cielo che non c’è… un sorriso sulle labbra e il ticchettio di due dita che giocano con il bracciolo della poltrona, nell’attesa che minuti, ore, giornate passino senza lasciare traccia, perché dimenticate.

          Ecco… è vero, la vita io l’ho un po’ vissuta, ma quel pulviscolo ho ancora voglia di guardarlo, magari discuterne anche con qualcuno, se il suo riesce a raccontargli qualcosa e magari cosa, vorrei trovare qualcuno che come me ha voglia di guardarlo quel pulviscolo, che come me ha voglia di percorrere un pezzetto di vita, sorvolando, come lui, sulle cose inutili, perché un raggio di sole a modo suo sa raccontare ed anche tanto.

 Evvabè, ci avete capito qualcosa? Come al solito, io ben poco, ma questo è ormai assodato… e già… !

 Fr. vostro nonno Archimede, un tempo detto anche Archi…

“Ciao.”

“ Ciao.”

Non era la prima volta che la vedevo così com’era in quel momento, mi dava le spalle e con le mani raccolte dietro la schiena guardava fuori dalla finestra. Nella penombra riuscivo appena a scorgere il colore dei suoi vestiti e raggi di luce giocavano con i riflessi dei suoi riccioli neri, che quasi veniva voglia d’acchiapparli.

“Ciao.” mi risponde senza neanche girarsi, detto in un soffio, come se avesse qualcos’altro a cui pensare, ma che suonava come un richiamo dal profondo del cuore.

Mi fermo e la guardo. Mi piace guardarla mentre lei non mi vede, riesco a vederla oltre la sua immagine; con i miei occhi l’attraverso, l’accarezzo, cerco un appiglio per non lasciarla andare, per non perdere neanche per un attimo la sensazione di essere posseduto da quella meraviglia e pensieri si accavallano uno sopra l’altro, non cercano risposte, ma solo voglia di ritrovarsi ancora una volta desiderio che si perde in lucida follia.

Mi avvicino cercando di non fare troppo rumore, con il suo respiro che, passo dopo passo, mi sembra di avere incollato addosso, scosto i capelli, un lembo di pelle fa capolino da un raggio di luce che solitario era lì ad aspettare, sento l’odore della sua pelle che mi entra dentro ai polmoni, ancora immobile, china da un lato la testa e tra il sordo rumore di un intreccio di mani che si cercano, la sfioro con le labbra per dirle ancora…

“Ciao.”

©_Copyright

Pensieri…

           Una strana accozzaglia di pensieri oggi m’invade, tanto che non riesco neanche a pensare, sono così fulminei che non ho il tempo di leggerli per come vorrei.

          Mi capita alle volte di essere così frastornato, penso a delle cose ed altre prepotentemente s’affacciano, fanno capolino tutto d’un tratto, magari cercando risposte, magari urlando che erano lì prima degli altri, ma tutto è inutile, l’attesa è lunga e alla fine rimane delusa.

           Ora mi viene in mente lo sguardo di quella bambina che, su di una sedia a rotelle, scuote la testa e osserva qualcosa che sembra essere lontano, così lontano che anche seguendolo con gli occhi, non si riesce a vederlo.

          Ora è seduta sulle gambe del padre, che con la mano, tiene quella testolina che sembra stia per cadere, e lei la scuote ancora, poi lui canta una canzoncina e ogni due parole, la bacia sulla fronte e ogni volta che lo fa, lei smette di scuotere la testa e in un soffio dice: eh…

          Ricomincio a pensare… ricomincio a pensare a quella vita, a tutto l’amore che bisogna dare per farla sentire meno sola, ma che non è mai abbastanza per colmare un vuoto che sarà, purtroppo, sempre uguale.

          Ricomincio a pensare e di nuovo mi sento frastornato, una strana accozzaglia di pensieri m’invade, ma solo perché riesco a leggerli come non vorrei…

La panchina…

© arthur
© arthur

Eh va bene, direte voi, i tempi sono cambiati, una volta certe cose era difficile vederle per strada, invece oggi è quasi una regola.

Domenica, così per ingannare l’attesa di una serata che tardava a venire, sono andato sulla passeggiata a mare a fare due vasche (hihihihiiiiiii… beh, oggi si dice così e tra l’altro ci sta anche bene visto l’argomento 😉 ), mentre andavo su e giù con fare disinvolto e sempre con l’occhio rivolto verso il mare (che meraviglia il mare di sera! ), vedo lontano su di una panchina una coppia di ragazzini e quasi di fronte, una coppia di anziani. Evvabè, niente di male direte, ma c’era qualcosa, e allora ho accelerato il passo, mi sono avvicinato e senza dare troppo nell’occhio mi sono seduto su di un’altra panchina facendo finta di leggere il giornale che qualcuno aveva dimenticato lì.

Insomma, direte voi, non si fanno queste cose e in effetti sarei anche d’accordo, ma come ho già detto prima, m’incuriosivano, li ho guardati attentamente, i due ragazzi, più che seduti erano abbracciati, abbarbicati l’uno all’altro, lei poggiava le gambe sopra quelle di lui, e con la faccia letteralmente appiccicata, si baciavano appassionatamente, incuranti di tutto quello che succedeva intorno.

Dall’altra parte i due vecchietti erano seduti composti, mano nella mano, lui aveva gli occhiali scuri e con la bocca semiaperta rideva alle parole di lei, che ogni tanto si fermava, lo guardava amorevolmente, s’accostava, e gli dava un bacio sulla guancia. Lui girava appena la testa, la scuoteva e dopo ricominciava a sorridere.

(… )

Beh, l’impressione che ho avuto era che nello spazio di una panchina e di un viottolo asfaltato, sembrava di vedere due ragazzi che allo stesso tempo erano diventati grandi e che malgrado tutto, riuscivano ad amarsi alla stessa maniera. Sì, come due epoche contrapposte ma ugualmente simili nelle emozioni, nello slancio, nella voglia di far sentire all’altro d’esserci e nella seconda coppia, quella dei due vecchietti, d’esserci sempre e comunque. Che tenerezza, che voglia di fermarli e dire loro di guardarsi.

Evvabè, oggi è andata così, domani chissà e nel frattempo, buona giornata che la mia è iniziata bene.

fr.: vostro nonno Archimede, un tempo detto anche Archi.

Svegliarsi…

Brilla una luce negli occhi, come di un pensiero fuggitivo che attraversa la mente senza voglia di conferme, le labbra si socchiudono come per dare un bacio e alla fioca luce di una finestra appena socchiusa, il suono di un clic dice che finalmente l’emozione ha trovato il suo rifugio.

E poi, un susseguirsi di frenesie che, tra attimi rubati, s’incastrano, fino a diventare lucide follie vissute ad occhi aperti, tra spazi circoscritti in un immaginario sempre più lontano; fulgida visione di un intreccio di mani e di corpi che si fondono e, senza volerlo, dopo tanto lottare, finalmente è l’abbandono.

Svegliarsi al mattino e tra i vapori fumosi di una doccia, disegnare con il dito su di uno specchio, la curva di una strada che mentre sale, lascia intravedere una lunga discesa che porta al mare.

E gocce di rugiada si staccano una dopo l’altra e nel rigagnolo appena nato, cercano la via per rompere gli indugi, a ritrovarsi ancora insieme verso qualcosa che le porti lontane; il calore di un abbraccio che le asciuga come fossero panni stesi al sole.

Svegliarsi e accorgersi di un nuovo giorno ritrovato.