* In silenzio.

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Volevo cambiare post, scrivere cose importanti della vita, dell’amore, di gioie e di dolore, di aspettative mancate e ritrovate, persino di silenzi, insomma, di qualcosa che mi facesse pensare solo per un attimo che la strada che sto percorrendo non è solo a ostacoli, che il sorriso, quello che mi sveglia ogni mattino, è contagioso anche per gli altri, per chi pensa che il mondo sia tutto sulle sue spalle, per chi non ha tempo per soffermarsi e prendere respiro, per chi è così preso dall’essere se stesso, che non vede niente di diverso.

Avrei voluto cambiare post, ma il bisogno di mettere ordine in questi miei pensieri mi lascia al momento, come dire, un po’ disorientato, forse perché malgrado tutto ciò che ho capito della vita, ahimè, è assai ben poco e da un lato, anche se mi sorprende, mi da l’esatta dimensione di come siamo fragili e allo stesso tempo futili, perché ci perdiamo in cose assolutamente inconsistenti.

Vorrei poter cambiare post per dare il via a nuove discussioni, dove né i miei problemi, né quelli di un altro siano l’argomento preferito, dove parlare del più e del meno diventa l’occasione per prendere coscienza di una realtà che spesso confonde il vero con il virtuale, ma che non ha niente a che vedere con i sogni, dentro queste pagine, fuori per le strade, nelle piazze che chiedono giustizia, nei prati sempre più soffocati dal cemento, nelle distese immense di un mare misterioso, tra le corde che vibrano di un’emozione sconosciuta.

Voglio, ma ciò che realmente voglio è non voler nulla, cullarmi nell’idea che ciò che ho è già abbastanza, qualsiasi cosa in più è bene accetta, ma non per questo mi accontento.

E poi, parafrasando … , mi siedo in silenzio e ascolto i miei pensieri.

E secondo voi?

Parlando con un’amica l’altra sera ho scoperto che ha un rapporto molto libero con suo figlio, nel senso che lui entra e esce di casa senza dirle mai nulla e quindi senza che lei se ne accorga, tant’è che alle volte per sapere se c’è deve andare a bussare alla sua porta.

Oh caspita, le ho detto, ma come, non ti saluta prima di uscire? Niente abbracci? Nemmeno un bacio?

Nooooo, mi risponde lei convinta, certe smancerie in casa mia sono bandite.

Oopsss!!! (Sorrido, direbbe Alessandra!)

Oh caspiterina, mi sono detto, come è possibile? E già, io vengo da una famiglia dove l’abbraccio, il bacio, o quanto meno il saluto era ed è un’abitudine consolidata, diciamo “normale amministrazione”, per usare un termine terra terra e comunque sia, non sono mai uscito di casa dei miei senza salutare, senza dal loro un bacio o soltanto un abbraccio, e così è sempre stato nella mia vita privata.

Ma d’altronde è uguale con mio fratello, con mia sorella, con i miei nipoti e, udite udite, con i miei amici più cari e se venisse meno, mi sembrerebbe mancasse qualcosa.

Non ritengo siano delle smancerie inutili, anzi, fa parte secondo me di quel senso di accoglienza che non può mancare in un rapporto familiare, ma anche tra amici intimi con i quali si condivide buona parte della propria vita, è quel contatto fisico che in qualche modo suggella una condivisione diversa dalle altre.

Nessuna intimità negata quindi, anzi, un’apertura a un dialogo che si affida ai gesti oltre che alla parola, per niente trascurabile secondo me, ma è ovviamente un mio pensiero.

E voi che fate?

A tavola con… Calo. Baccalà a ghiotta.

Ieri è stata una giornata un po’ così e Calo con un suo commento mi ha strappato – per usare le sue parole – un bel sorriso, riportandomi con una tipica ricetta Messinese fin dentro le mie radici Sicule e di questo la ringrazio di cuore.

Questa ricetta è una piccola variante della ben nota “Stoccafisso a Ghiotta” che si fa a Messina e che la nostra Calo, Siciliana Doc, per scelta personale realizza con il baccalà, che si differenzia dallo stoccafisso perché lo si trova in commercio seccato e sotto sale, quindi prima di cucinarlo, va accuratamente dissalato e lavato ben bene.

Ma bando alle ciance, vi lascio alla sua ricetta e, buon appetito.

 Baccalà a ghiotta, alla maniera di Calo

Ingredienti:

  • sedano
  • cipolla
  • passata di pomodoro (possibilmente fatta in casa)
  • baccalà
  • patate
  • olio di oliva
  • olive nere “cunzate alla Siciliana”
  • peperoncino
  • pane fatto in casa va bene anche raffermo
  • sale e pepe quanto basta

Preparazione:

In un tegame basso e largo fare soffriggere a fuoco medio sedano e cipolla.

Mentre va, mettere in una ciotola  una bottiglia di passata di pomodoro fatta in casa, un cucchiaio di concentrato di pomodoro, un bicchiere di acqua, un pizzico di sale e zucchero, mescolare il tutto e poi versarlo nel recipiente del soffritto.

Lasciare che questo sughetto prenda bollore e poi aggiungere  il baccalà (precedentemente dissalato e lavato bene) a pezzettoni e fare cuocere, a fuoco basso e coperto per circa 10 min.

Nel frattempo sbucciare delle patate e tagliarle a pezzettoni, dopodiché metterle nel tegame, se necessario aggiungoere un po’ d’acqua,  aggiustare  di sale e lasciare cuocere sempre a fuoco basso e coperto per un’altra mezz’ora, scuotendo la pentola di tanto in tanto. (senza mescolare!)

Quando le patate son quasi cotte, mettere nel tegame due belle manciate di olive nere “cunzate alla Siciliana” e un bel po’ di peperoncino e lasciare insaporire il tutto per altri 10 minuti.

Tagliare delle fette di pane fatto in casa e metterlo a bruscare nel forno e poi…

…pancia mia fatti capanna!!!

Calo (grazie!)

Le nostre radici.

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Sono ormai parecchi anni che sono andato via dalla Sicilia, giovanissimo, a sedici anni, non mi rendevo conto di ciò che lasciavo e neanche di ciò che avrei trovato in un altro posto, anzi, ero abbastanza eccitato all’idea di fare nuove conoscenze, con parecchio spirito di adattabilità quindi, dispiaciuto comunque di abbandonare gli amici di sempre, gli affetti che per tanto e da sempre erano stati un riferimento, ma quando si è giovani certe cose passano in secondo piano, attratto più dalla novità che da altro.

Ieri ho avuto una bellissima conversazione al telefono con una mia cugina che non vedo praticamente da una vita, abbiamo parlato come se ci fossimo lasciati il giorno prima, mi ha raccontato di sé, persino di una ricetta tipica Siciliana, lo stoccafisso a ghiotta, che nella mia famiglia andava alla grande, delle sue belle nipotine che tra l’altro non ho mai conosciuto, dispiaciuti entrambi di tutto questo tempo passato e per non aver più condiviso come un tempo dei pezzetti di vita e alla fine ho avuto la sensazione di essermi perso qualcosa, pensavo che se li rivedessi, tranne lei, il marito e la figlia più grande, inevitabilmente sarei stato un estraneo per loro, il cugino del quale si era sempre sentito parlare ma, uno sconosciuto a tutti gli effetti.

Noi Siciliani abbiamo con la famiglia, in senso allargato, un rapporto quasi viscerale, con i miei cugini materni ci sono praticamente cresciuto ed è difficile dimenticare certi momenti, ma quando si va via qualcosa si rompe, è vero, i ricordi rimangono intatti, anche se nel tempo sbiadiscono a poco a poco, si cerca di ricostruirli, ma mancano troppi pezzi importanti, manca quella vita vissuta giorno dopo giorno che in rapporto, qualunque esso sia, è fondamentale, manca quel crescere insieme che è fatto di gioie e di dolori.

Nulla è perduto, ma quanta fatica ci vuole per riconquistarlo.

E tu, cosa sei?

E così anche le vacanze di Natale sono finite; vabbè che per un vecchietto come me non è che cambi molto, considerato il tempo libero che ho a disposizione e, di conseguenza, la mancanza di assillo nel fare le cose giorno dopo giorno. Una scusa tra l’altro per capire come gira questo mondo così controverso, malgrado tutta questa informazione che arriva da tutte le parti e che alla fine credo comunichi ben poco.

Ritmi diversi rispetto a un tempo davvero, ma la natura umana se ci pensate secondo me non è che sia cambiata tanto, anzi, per certi versi è peggiorata, e purtroppo spesso e volentieri sfoggia la parte peggiore di sé. Continua a leggere “E tu, cosa sei?”

Caro amico.

La grinta sempre la solita, lo sguardo ironico un po’ da presa per i fondelli, neanche quello lo abbandona mai, pur conoscendolo da diversi anni, non sono mai riuscito a dargli una collocazione certa nei miei pensieri, tra di noi c’è sempre stata considerazione e stima reciproca, ma non siamo mai riusciti a diventare dei grandi amici, credo dipendesse dal fatto che entrambi avevamo dell’amicizia un’idea diversa; d’altronde è proprio per questo che alle volte ci s’intende.

Perennemente attivo al di fuori da ogni logica normale, ho sempre ammirato la sua voglia di rimettersi in gioco, di cambiare vestito, d’altronde chi l’ha detto che le nostre esperienze nel campo lavorativo non possano tornare utili se applicate in altri ambiti non necessariamente in sintonia con la nostra professione? Beh, lui questa teoria l’ha sempre messa in pratica e devo dire con ottimi risultati.

Non era smania o ricerca di guadagni diversi, forse anche, ci sono persone che rincorrono sempre tutto ciò che vedono passare davanti ai loro occhi e lui è uno di questi.

Oggi è ammalato, gravemente ammalato, un bel giorno un “amico invisibile” ha deciso di fargli compagnia e dopo alcune operazioni e varie vicissitudini, è praticamente arrivato quasi alla fine del suo percorso.

Ne ha coscienza e non ne fa un dramma, o quanto meno non lo dà a vedere. Non per questo se ne sta con le mani in mano, urla, sbraita, comanda, organizza, come sempre d’altronde, porta avanti progetti che potrebbero anche finire senza di lui, ma sembra che non gl’importi più di tanto, anzi, quella carica che lo ha sempre spronato sembra quintuplicata, ponendo tra l’altro per certi versi chi gli sta accanto in difficoltà, perché vive la concezione del tempo come una risorsa da consumare che, proprio per questo contrasta con l’idea che ne hanno gli altri.

Non abbiamo mai parlato di questa sua malattia, forse proprio per quel feeling che è sempre mancato tra di noi, quando ci si vede un bel sorriso e una pacca sulle spalle, lui non si lascia andare ed io non insisto, anche in questo siamo diversi, per me la parola se usata nel modo giusto può solo fare bene, malgrado tutto non riesco a rimanere inerme, conosco molto bene la sua famiglia, ho con loro un legame che anch’io non saprei come definire, d’affetto senz’altro, e poi immagino quel travaglio interiore, quei pensieri che si accavallano per non rimanere mai da soli, lo immagino come di chi non vive questa scadenza improrogabile e proprio per questo nell’impossibilità di capire quello che lui provi realmente, e allora mi domando se è proprio questo il punto o piuttosto l’idea che noi abbiamo della vita non ci condizioni a tal punto da ritenere che tutto, un bel giorno, possa finire con essa, senza considerare che quel che rimane è comunque un segno marchiato a fuoco per nulla cancellabile o, che è peggio, da dimenticare.

Sì, quando viene a mancare qualcuno che c’è caro, man mano che passa il tempo il ricordo di quel viso, di quello sguardo, di quel sorriso si attenua, non sentiamo più la sua voce  o il rumore dei suoi passi, ciò che di materiale gli è appartenuto non esiste più, ma c’è pur sempre l’amore, quel legame che nel tempo, qualunque esso sia, rimane inviolabile e io credo possa bastare.

Non ho paura di quel battere di ciglio che non ci sarà più, ma come si suol dire la speranza è l’ultima a morire ed io spero, caro amico, che tu rimanga ancora un po’ con noi, con quella tua solita grinta e con quello sguardo ironico un po’ da presa per i fondelli, sì proprio quello che non ti ha abbandonato mai.

‘giorno!

giorno

E così dopo Natale e Capodanno arriva l’Epifania, che come anche chi non ci crede di sicuro, tutte le feste le porta via. Che poi al pensiero mi viene anche da ridere, visto che di feste, durante queste feste, non è che ne abbia viste tante, ma tant’è che la crisi c’è, così giusto per fare una bella rima, come quella volta al Colosseo, un giorno come un altro, forse festivo o forse no – ma questo cosa vuoi che importi? – che Ernesto era riuscito a farsi dare da Camilla un appuntamento al buoi, nel senso che non conoscendosi non avevano neanche utilizzato la classica rosa coltivata alle falde del Monte Orticaria, ma solo se dopo una luna piena e un acquazzone tipico di quelli estivi, fosse venuto fuori un bell’arcobaleno dai tipici colori splendidi e ruggenti (???), tipico di quei luoghi se solo si ha la voglia e la pazienza di crederci, che tra le altre cose mi fa venire in mente quella volta a Castelgaglioffo, tipico paesino delle Alpi Apuane a metà strada tra Crocette e Abbade del Marco, che sorge a 312 metri sul livello del mare, girato l’angolo a destra non prima di aver fatto quel solito curvone che s’intravede giusto in fondo al viale, nel vicolo dei Campanari c’era una casetta piccola piccola dove il Morellino di Scansano andava a suonare la fisarmonica, e sì perché a quell’epoca e non vi dico quale, altrimenti poi mi contestate la veridicità delle notizie storiche, capitava di trovarsi nella centralissima piazza della Repubblica ad aspettare che Maremma lo Stralabbico, detto anche Grillo del Feudo delle arance tagliate con le sorbole del Perugino, si decidesse a raccontare di quella volta che a Sirolo, tipica spiaggia dei Balcani superiori, conobbe la sua bella, che poi, a dire il vero lì son tutte belle e, infatti, uno di questi giorni mi sa che ci faccio un salto, a fare direte, così solo per vedere, rispondo e chissà se c’ha ragione quel detto che chi di bello incomincia è a metà dell’opera e mi sa che per essere solo il 2 di gennaio io abbia incominciato bene – non vi pare? –  tra un disorientamento letterario e l’altro, una lettera che va di qua e una che si riattacca un po’ più in là, la voglia di ricominciare disorientando_mi_ci c’è tutta, ma se ci fosse il mare sarebbe ancora meglio e, beh, se non sono stato chiaro, la prossima volta ve lo spiego meglio, appunto.

Evvabè, mannaggia, Buon Inizio!