Già, le parole!

Parole

“Ma servono davvero le parole?” (…)

E’ una domanda che ultimamente mi pongo spesso ma, spesso, la risposta è assai contraddittoria.

Ed è la contraddizione di un modo di vivere che in superficie cerca il confronto che, nella sostanza, evita accuratamente. Eppure, ciò che dovrebbe servire a semplificarci la vita in effetti la svilisce, le toglie quella parvenza di umana coerenza che la rende unica e vitale.

Quante volte un gesto o uno sguardo restano racchiusi dentro ad un’ampolla accuratamente sigillata? Troppe forse e poi, quando le parole si mischiano ai silenzi in un gioco perverso che non cerca regole ma serve solo ad intimidire, l’unico rifugio plausibile è chiudersi in se stessi, senza tante domande e quanto meno risposte.

Il like!

Like

Oggi vorrei affrontare un argomento a mio parere assai spinoso e che forse mi renderà antipatico a molti di voi, ma credo sia opportuno farlo, visto che tra l’altro in molti la pensano come me, anche se, ahimè, resta comunque un argomento che si discute in privato e mai pubblicamente.

I like, questi sconosciuti, mi verrebbe da dire!

E sì, perché ho notato che ultimamente la moda che imperversa nel mondo del blog è un uso indiscriminato di questa forma di condivisione, che va benissimo sia chiaro, ma che se fatta senza un riscontro obiettivo, sempre, cioè a dire il supporto di un commento, lascia un po’ perplessi. Continua a leggere “Il like!”

Razionalità o fantasia?

Chi ha detto che razionalità e fantasia non possano andare di pari passo?

Personalmente mi sono sempre affidato al mio istinto e a volte ho fatto cose che non avrei mai fatto se decise a tavolino; dopo però, a mente serena, le ho vissute come se le avessi scelte consapevolmente, o forse ho voluto crederle tali.

La razionalità è qualcosa che ci siamo imposti magari per paura di perderci.

E sì, perché oltre che la paura, c’è la voglia di perdersi perdutamente nelle emozioni e allora, è meglio non lasciarsi andare?

Direi proprio di no!

Torno…

                   Torno dal mare dopo pochi giorni di dolce far nulla e quando mi capita d’andarci, è un po’ come se dentro di me cambiasse qualcosa, un miscuglio di sensazioni difficili da spiegare.

Come sarebbe bello poter dare alle emozioni la parola, un’ occasione in più per spiegarsi a modo loro, ci pensate? Potremmo così metterci comodi e quando qualcuno ci chiede dove siamo stati, “loro” incominciano a parlare per noi, e noi, annuendo ogni tanto, a sorridere compiaciuti. Continua a leggere “Torno…”

E poi ancora… Alto, affusolato, morbide curve ondulate

Alto, affusolato, morbide curve ondulate, come il ritmo scandito da una melodia andalusa, fatto apposta per essere riempito da rami profumati di lavanda, che dalle sue trasparenze trovano slancio.

Difficile decidere dove poggiarlo, difficile pensare che ogni centimetro guadagnato possa in qualche modo farlo sembrare diverso da quello che ognuno di noi vorrebbe che fosse, ma poi…

… no, nessun piedistallo, no, neanche a pensarlo, lì, forse lì potrebbe andar bene, sì, l’angolo tra il mobile e il muro è l’ideale, lo racchiude e al tempo stesso lo protegge, lontano da sguardi indiscreti ma ugualmente in vista; riuscire a vederlo per non dimenticare; una parete verde, l’altra bianca, verde e bianco che si mischiano se un raggio di luce l’attraversa, e fanno a gara per trattenere tonalità chiare, sfumate, dai colori brillanti, nettamente più luminose rispetto alle cromie scure che dagli angoli bui fanno capolino, in un gioco che trova pace soltanto quando si smette di guardarlo.

Ma lo sguardo non lo abbandona mai, anzi, cerca una scusa, immagina qualcosa per coprirlo, per far sì che nulla possa fuggire da lì dentro; che poi è solamente un vaso, neanche di cristallo, è vetro soffiato, neanche colorato, è trasparente, alto affusolato, con morbide curve ondulate, come il ritmo scandito da una melodia che le percorre dolcemente, niente più rami ma solo desideri, che s’intrufolano, uno a uno, tra maglie strette avvolte in un abbraccio che non li lascia scappare via.

Alto, affusolato, morbide curve ondulate  3 novembre 2009

Il cielo che si apre.

© arthur

Aveva smesso di piovere, l’aria era pulita, il cielo con un raggio di sole che spuntava dietro alle poche nuvole rimaste, sembrava non finisse mai, si faceva guardare quasi ammiccando come un vecchio compagno d’altri tempi.

Il momento ideale per fare delle foto. Sono solo, cammino e mi guardo intorno. Non sono un paesaggista, anzi, se riguardo le tante foto di paesaggi scattate in tutti questi anni, sento, vedo che manca qualcosa, come se fossero monche, come se l’anima che mentre scattavo mi sembrava di sentire, si sia improvvisamente dissolta, scappata via. Sì, una bella foto, ma nient’altro.

Amo il volto, amo il particolare, amo sentirmi in simbiosi con la persona che fotografo, uno sguardo, un ciglio che si muove o un sorriso appena accennato, come anche il movimento di una mano, una testa che si gira di scatto al richiamo di una voce, lo sguardo sorridente di chi mi da fiducia messo in posa per una foto ricordo, momenti che alle volte sanno di magia e che, dopo, parlano di emozioni.

La foto è un po’ una dichiarazione d’amore e l’amante è la persona che in quel momento mi trovo di fronte. Parlo, la metto a suo agio, cerco di trovare l’espressione che meglio la descriva, il suo lato migliore; non è facile e non sempre riesce, ma vale sempre la pena provare, perché in ogni caso, ho avuto l’occasione di conoscerla un po’.

E’ la vita che scorre.

Ascoltare…

Oopsss… scusate la mia lunga latitanza, ma questo ritorno, dopo le vacanze, mi ha riservato delle sorprese ed anche delle preoccupazioni, purtroppo, e quindi…

Evvabè… Avrei tante cose da raccontarvi, ma mi si accavallano nella mente e il risultato è che non so veramente da dove incominciare.

Beh, potrei farlo raccontandovi di una conversazione che ho avuto l’altro giorno con un’amica, un tentativo di conversazione devo dire, perché, in effetti, ciò che le stavo per dire, non sono mai riuscito a finirlo. Continua a leggere “Ascoltare…”

Nostalgia?

E se fossi diventato ad un tratto nostalgico?

 

Ho sempre cercato di evitarlo, anche perché la nostalgia non è una buona compagna, se poi piove e le giornate scorrono uguali una all’altra, ancora meno.

Eppure, stasera voglio essere nostalgico, voglio arrampicarmi su cumuli di ricordi, per sceglierne uno a cui pensare senza alcun ritegno, mettermi lì e, percorrendo con lo sguardo quel che è stato, sentirmi dispiaciuto per non aver fatto nulla perché diventasse soltanto un ricordo.

 

E allora… da dove incomincio, boh, non saprei… nella mia testa passa il tempo e una folla d’immagini che si sovrappongono, urlano chiedendo d’essere guardate, ognuna che si fa spazio con l’assurda pretesa di essere rimasta lì troppo ad aspettare, un velocissimo flashback d’immagini che scorrono, sventolando, come su di un telo appeso per un lembo, che narrano di un passato che nel presente vorrebbe trovar risposta.

 

E allora… cerco il ricordo che vorrei poter pensare, per mettermi lì seduto con lo sguardo perso nel nulla e un sorriso appena abbozzato sulle labbra, che mi conceda così un po’ di tregua, cerco il ricordo che, nello schiudersi di un attimo, ha consumato la sua emozione.

 

E allora… Ciao… !

Lo scialle di seta nero…

E così prima di sera lei prese lo scialle di seta nero e se lo mise sopra le spalle, adagiata in silenzio contro il muro, senza nessuna voglia di risposte.

Mi piacerebbe intrufolarmi tra quelle parole non dette per far parte di quei silenzi così non diventano più tali e poi, offrirgli l’appiglio per aggrapparsi, per non restare più in bilico, per ritrovare la strada, dove ci sono spazi, idee e cieli, dove lo sguardo si perde, dove ci sono le emozioni, dove quel battito in più che va cercando, possa tornare ad esserci.

Cos’è che rende la sua voce simile ad un’emozione che attraversa l’anima, fino a sentirla dentro nelle ossa, e ci resta tutto il tempo che passa, per riviverla, poi, la volta successiva?

Una domanda che trova risposta mentre la guardo camminare incurante della mia presenza, capelli bagnati, collant e maglione largo un po’ slabbrato, una leggera sbavatura nera che fa da cornice a due occhi scuri e profondi come il mare, l’andatura lenta di chi sa di essere osservata, forse anche appositamente lenta, quasi svogliata, l’esibizione di un corpo che, senza curarsi più di tanto, seduce e incanta.